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EUR/USD. La guerra non è un alleato del dollaro

All'inizio della nuova settimana di trading, la coppia EUR/USD rimane all'interno della fascia di 1,15 e cerca persino di avvicinarsi al livello di resistenza di 1,1600, nonostante il conflitto in corso in Medio Oriente.

Israele e Iran continuano i reciproci attacchi missilistici, il numero delle vittime da entrambe le parti è in aumento e non ci sono ancora segnali reali di de-escalation. Allo stesso tempo, la geografia del conflitto non si è ampliata, e l'Iran (per il momento) non ha fatto ricorso a misure di ritorsione più radicali: ad esempio, non ha interrotto la navigazione nell'importante stretto di Hormuz (nonostante i rappresentanti dei Guardiani della Rivoluzione abbiano già formulato tali minacce) e non ha attaccato le basi militari americane nella regione (Anche se Teheran ha ufficialmente accusato gli Stati Uniti di essere coinvolti nell'attacco israeliano). In altre parole, il conflitto non si è ridimensionato e la sua geografia non si è ampliata, un fatto che, a quanto pare, ha permesso agli acquirenti EUR/USD di mantenere la coppia entro la quindicesima figura.

EUR/USD. La guerra non è un alleato del dollaro

È un fattore importante, poiché suggerisce che il dollaro non è comunque il beneficiario della situazione attuale. Occorre notare che in seguito ai primi attacchi delle forze armate israeliane contro le infrastrutture iraniane, la valuta americana ha rafforzato le proprie posizioni su tutto il mercato, come a "ricordare" il proprio ruolo di asset rifugio. Tuttavia, verso la fine delle contrattazioni di venerdì, il dollaro ha smesso di beneficiare della domanda elevata, in un contesto di riflessioni secondo cui il conflitto in Medio Oriente potrebbe ripercuotersi anche sugli Stati Uniti, almeno sotto forma di un'impennata dell'inflazione. Il mercato si è mostrato di nuovo freddo verso il dollaro, con l'indice della valuta USA che oggi è tornato all'area della 97a figura. Ciò significa che il conflitto in Medio Oriente, soprattutto se si protrarrà a lungo, svolgerà un ruolo di fattore fondamentale negativo per il dollaro, e non viceversa.

Come è noto, qualsiasi azione militare in Medio Oriente influisce sul prezzo del petrolio, e ciò, a sua volta, influisce sull'economia globale e (anche) americana. Questa mattina il prezzo dei futures su Brent con scadenza ad agosto, quotati all'ICE Futures di Londra, è salito dello 0,92% a 74,91 dollari al barile. Gli operatori di mercato temono ancora interruzioni nella fornitura di "oro nero", a fronte delle espresse minacce di bloccare il suddetto stretto di Hormuz, attraverso il quale passano ogni giorno circa 17-18 milioni di barili di petrolio, ovvero circa il 20% della fornitura di petrolio offshore mondiale e circa 1/5 del consumo mondiale totale.

Da un lato, una crescita relativamente debole del mercato petrolifero non è di per sé drammatica. Ma se la tendenza si intensifica (ad esempio, se il petrolio raggiunge quota 80$ e oltre), aumenterà di conseguenza la pressione sull'inflazione USA. La crescita sostenuta del petrolio potrebbe cambiare le aspettative di inflazione, che sono già a un livello abbastanza elevato (secondo uno studio dell'Università del Michigan di giugno, le aspettative per l'anno sono del 5,1%).

In altre parole, il conflitto in corso tenderà a penalizzare il dollaro statunitense (a causa dei crescenti rischi di stagflazione), anziché sostenerlo in virtù del suo status di asset rifugio. In queste condizioni, tale status "non funzionerà", con delusione per i rialzisti del dollaro.

Nel frattempo, come già detto, al momento non vi sono segnali reali di de-escalation, nonostante ieri l'Iran abbia annunciato la propria disponibilità a firmare un accordo in tema di armi nucleari. Il fatto è che Teheran continua a insistere sul suo diritto a un "atomo di pace", mentre Israele è del tutto contrario alla conservazione delle infrastrutture nucleari "civili" iraniane. Inoltre, a giudicare dalla retorica del primo ministro israeliano, l'operazione militare punta non solo all'abbandono del programma nucleare iraniano, ma anche al rovesciamento dell'attuale governo del Paese.

Pertanto, tutte le dichiarazioni, i commenti, le voci, ad ora parlano esclusivamente di escalation. In particolare, secondo Reuters, l'Iran ha detto ai mediatori del Qatar e dell'Oman che non negozierà fino a quando non cesseranno gli attacchi da parte di Israele. Il corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane ha detto che avrebbe continuato le operazioni contro Israele "fino alla sua completa distruzione".

Oggi si è saputo anche che gli Stati Uniti stanno spostando i propri aerei da rifornimento attraverso l'Oceano Atlantico in numero tale da "non avere precedenti" (più di 30). Secondo diversi analisti, tali aerei parteciperanno (e già stanno partecipando) al conflitto tra Israele e Iran. Inoltre, gli americani hanno schierato sistemi di difesa aerea THAAD e cacciatorpedinieri AEGIS per aiutare l'IDF ad abbattere i missili balistici iraniani.

La guerra, ahimè, continua, e questa è una cattiva notizia per il dollaro, nonostante il suo formale status di bene rifugio.

Così, il conflitto in Medio Oriente si è trasformata in un'altra zavorra per la valuta americana. E anche se l'euro non è in grado di "aprire le ali" (a causa della debole domanda di asset rischiosi), la coppia EUR/USD si tiene a galla e cerca persino di avvicinarsi al limite della sedicesima figura. Pertanto, i ribassi correttivi restano un'opportunità per aprire posizioni long con obiettivi a 1,1600 (banda superiore delle Bollinger Bands sul grafico giornaliero) e 1,1650 (banda superiore delle Bollinger Bands sul grafico settimanale).

*The market analysis posted here is meant to increase your awareness, but not to give instructions to make a trade
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